Insights 16 Febbraio 2023

Progettare l’inclusione: Design for All

Shata Diallo

Principal

Elisa Rando

Consulente

Laura Pieralisi

Managing Partner

Corrado Bottio

Consulente

Per offrire alle organizzazioni italiane informazioni utili e best practice sugli interventi DE&I, la nostra tribe Inclusion intervista ogni mese responsabili di grandi aziende che operano in Italia nell’area Diversity Equity e Inclusion. Oggi abbiamo il piacere di parlare con Francesco Rodighiero, Presidente di Design For All Italia, co founder dell’Associazione Hackability e vincitore di prestigiosi riconoscimenti, tra cui IF Design Award, Designpreis e Adi Index.

Che cos’è il Design for All? Che obiettivi si pone? 

Design for All è il design per diversità umana, le pari opportunità.  

Spesso il design tradizionale progetta per un’astrazione: l’uomo standard. Così facendo penalizza le persone reali con le loro diversificate abilità, competenze, desideri e aspirazioni. 
Design for All Italia promuove una progettazione per l’individuo reale, inclusiva ed olistica, che valorizza le specificità di ognuno, coinvolgendo la diversità umana nel processo progettuale. 

L’obiettivo massimo è quello più generale del design: migliorare la qualità della vita delle persone con sistemi, tecnologie, interfacce e tutto ciò che è utilizzato dall’uomo.  

L’obiettivo nostro è di diffondere il più possibile sia l’approccio progettuale, ma soprattutto il modo di pensare che sta alla base, la capacità cioè di porsi le domande in un’ottica inclusiva. A volte non è importante la risposta, ma essersi già posti la domanda, che dovrebbe essere la normalità, ma non sempre è così.  

Design for All Italia vuole quindi proporsi come punto di riferimento, luogo di dibattito ed incontro per promuovere iniziative e contribuire concretamente al superamento dei conflitti uomo-ambiente attraverso il progetto. Mira a diffondere una sempre maggiore attenzione e sensibilità nei confronti della progettazione inclusiva, e a far comprendere le implicazioni sociali e i benefici sulla qualità della vita di tutti ed evidenziare i vantaggi competitivi ed economici. 

Come si pone il Design for All nei confronti degli utenti? 

Nel Design for All non esistono dei manuali e ci battiamo perché non ci siano delle regole fisse del ‘one fits all’.

Coinvolgere gli utenti, ma soprattutto gli stakeholders, è fondamentale per noi perché ci permette di scoprire tante cose, dai bisogni generali a quelli più personali, che poi vanno declinati per rilevare le esigenze alle quali il progetto deve riferirsi. Chiaramente l’esperienza progettuale ti permette di avere una certa sensibilità, ma ogni tanto vanno fatte delle indagini perché cambiano i costumi delle persone, le aspettative, le necessità e questo avviene molto rapidamente, anche in funzione dello sviluppo tecnologico.   

Tutti i progetti nascono dalla domanda corretta. Non ha senso progettare una cosa per una persona che non sente la necessità o quanto meno non deve farne un certo utilizzo: è chiaro che l’interesse è il primo punto. Se uno è in grado di farsi la domanda corretta, riesce a sviluppare il progetto in maniera molto innovativa e originale. Questo processo di Design for All di verifica costante, di analisi di bisogno, sviluppo di concept fino alla realizzazione del progetto insieme agli utenti permette di scoprire tantissime cose e realizzare soluzioni di qualità. 

Quindi c’è di più della normativa quando si vuole fare un progetto inclusivo? 

Se parliamo con le amministrazioni spesso ci scontriamo con la questione di prassi, cioè “ho questo problema, com’è che lo risolvo?”, e non sempre la normativa, spesso a volte prescrittiva, è soddisfacente e ti risolve in modo chiaro un problema, per quanto sia più comodo per certe dinamiche avere indicazioni standard.

Secondo noi è meglio capire le motivazioni di una soluzione piuttosto che avere una soluzione precostruita. Se io capisco come sono arrivato lì è ovvio che mi è più semplice trasferire questa soluzione su un’altra situazione e questo dipende molto dalle persone e dal contesto in cui mi inserisco, dipende dagli stakeholder. Se io faccio un progetto di unità abitative in una zona dove ci sono delle tradizioni, una statura media, e certi tipi di abitudini è chiaro che mi riferirò molto su quel contesto. È inutile che io faccio della unità abitative internazionali se poi ci vanno ad abitare i locali.  

L’individuazione degli stakeholders, degli utenti, è fondamentale. Tutti tutti non saranno mai.  

Dato che non è possibile pensare ad un progetto che sia per tutti, si può definire uno spazio “inclusivo”?  

Dobbiamo prima definire il termine inclusivo, cioè a che cosa ci serve.  

Se io voglio uno spazio del lavoro inclusivo, devo tenere conto delle dinamiche interne, ovvero partecipare alle riunioni, potermi muovere indipendentemente. Il primo gradino è l’autonomia, il secondo è il benessere generale che ovviamente mi permette di trovare delle soluzioni corrette.  

Lo spazio di lavoro di uno studio di architettura probabilmente per essere inclusivo è diverso da un ufficio di avvocati. Magari saranno simili, ma avranno delle caratteristiche diverse o avranno qualcosa che li differenzia. Dobbiamo in primo luogo capire quali sono le nostre esigenze e quelle di coloro che vivono lo spazio. 

Se un domani voglio assumere delle persone che hanno delle problematiche legate all’autismo, dovrò tenere conto di alcuni elementi e, allo stesso tempo, devo prendere con consapevolezza questa decisione. Anche qui c’è una legge, che dice che sopra un certo numero di dipendenti sei tenuto a dover assumere un certo numero di persone considerate categoria protetta, ma integrarsi nel mondo lavorativo con persone con certe difficoltà è una questione che la normativa non sa risolvere. È chiaro che c’è una spinta, ma se ho problemi di autismo, di persone che perdono il controllo, non saprei cosa fare e c’è da ragionarci sopra e questo dipende dalla situazione e dall’esigenza.  

Tutto ciò che riguarda le abilità mentali è molto complesso, mentre per quelle fisiche si hanno più strumenti e più opportunità. C’è però tanto da fare su tutto. 

Cos’è il marchio di qualità Dfa-quality? Come si può ottenere e quali sono le azioni che avviate quando vi chiedono di valutare se uno spazio è inclusivo? 

I nostri marchi si chiamano “marchi di qualità”. Innanzitutto, perché sappiamo che fare un progetto di Design for All è molto complesso e non tutti partono da questa ambizione, e spesso sappiamo che il focus non è interamente Design for All.  

L’iter di valutazione che adottiamo è il seguente: ci viene sottoposto un progetto (sia realizzato che su carta) e parte del nostro personale costruisce delle linee guida molto aperte che vogliono essere un punto di partenza. Dopodiché, ci sono altre persone che fanno una valutazione qualitativa sulla base di queste linee guida e vanno a valutare le soluzioni che sono state prese. Quindi si creano due biblioteche: una di linee guida volutamente generiche e l’altra di valutazioni qualitative.  

Il concetto è sempre lo stesso: non pensiamo che ci sia un sistema, e quindi delle linee guida, che vadano bene per tutti. L’idea è quella di creare una grande biblioteca partendo da una complessità: ci sono otto miliardi di persone su questo pianeta.  

Questi marchi di qualità poi li andiamo ad argomentare rilasciando dei documenti.  

Essendo questo servizio molto complesso, non è gratuito, ma veniamo incontro sui costi in base al richiedente tenendo sempre a mente che il contesto condiziona la soluzione.  

Quindi dipende anche da chi vi propone i progetti, ovvero la capacità di riconoscere il valore di rendere il loro luogo di lavoro più adatto al maggior numero di persone.

Si, perché c’è chi lo fa perché vuole allargare il proprio mercato, c’è chi invece vuole proporsi come un’azienda con un mercato eticamente corretto (perché ormai anche i clienti guardano da dove vieni e cosa fai), c’è anche chi lo fa per dire “stiamo lavorando in questa direzione”, e, infine, c’è chi banalmente lo fa per giustificare il costo di una determinata azione.

Quindi, nell’ottica di un’azienda che vuole, e si sta muovendo, nella direzione di rendere più inclusivo il suo modo di lavorare, compresi i suoi ambienti, può rivolgersi a voi per muoversi verso questa direzione? 

Assolutamente. Oltre ai progetti noi facciamo anche tanta formazione ed empowerment e lo facciamo perché è giusto che i ragazzi, partendo dall’università, conoscano questi argomenti, ma non solo loro. Siamo un’associazione fatta di soci, tutti professionisti e abbiamo una buona parte di volontariato e una buona parte di consulenza e crediamo che la formazione sia una forma di disseminazione che è molto più efficace degli interventi.  

Grazie a Francesco Rodighiero, Presidente di Design for All Italia!